La rabbia è una malattia, l’ira un peccato capitale, la violenza è un inferno. L’odio intossica, l’avversione è uno dei tre veleni della mente, secondo il buddismo.
La rabbia non gode di una buona reputazione, eppure in qualche modo siamo tutti arrabbiati. Anche se c’è chi non lo sa.
La rabbia è un’emozione primaria, preziosa per la sopravvivenza: è un segnale che indica che il nostro territorio è minacciato, o la nostra identità, o i nostri principi. E’ importante sentirla, e capirla.
Se si cerca di non provarla, perché fa paura e fa sentire in colpa, si attivano dei meccanismi di difesa pericolosi, che tolgono energia.
Va dunque riconosciuta e ascoltata. Legittimata. Anche Gesù prova rabbia, in alcuni passi della Bibbia.
Esploriamone allora gli aspetti fisiologici, di attivazione del sistema nervoso simpatico; quelli cognitivi, cioè come la mente giustifichi o sia messa sotto sequestro dall’emozione; e quelli comportamentali, i più visibili.
Che cosa avviene della rabbia che proviamo?
In mancanza di un’educazione alla gestione delle emozioni – e l’intelligenza emotiva a scuola ancora non si insegna – si tende a prendere la strada dell’agìto: un’esplosione di rabbia, magari nel momento e con la persona sbagliata. Le conseguenze sono spesso indesiderate, sia per le relazioni, sia per la percezione di sé.
L’alternativa sembra essere solo l’evitamento, con vari sistemi di fuga (tra cui anche il cibo in eccesso, l’alcool, razionalizzazioni e rimuginio ossessivo).
Oppure l’implosione. Si proteggono le relazioni, ma si ingoia rabbia che si trasforma in ansia o in depressione. O, come spesso avviene, in disturbi psicosomatici: il corpo non ama soffocare le emozioni.
L’espressione sana della rabbia sembra essere il modo più funzionale da tutti i punti di vista: personale, fisico, relazionale.
Richiede un allenamento e alcune capacità. Alcuni di noi sono più in difficoltà, per motivi genetici, per i modelli di gestione delle emozioni a cui sono stati esposti negli anni dell’infanzia, per presupposti culturali, per il livello di sviluppo della corteccia prefrontale, il nostro “cervello delfino”, che presiede alle capacità di autocontrollo.
Disinnescare la rabbia senza averne compreso il significato non è una buona idea. Tutte le parti di noi, e dell’altro, hanno bisogno innanzitutto di essere viste e riconosciute.
Quindi è importante imparare a fare le domande giuste a se stessi. Quale tasto dolente è stato toccato?
Piccole cause di irritazione sono spesso trigger per più vaste e antiche questioni personali.
Cosa c’è dietro la rabbia di un operatore nel sociale?
E dietro a quella degli uomini che odiano le donne? E perché le donne spesso fanno fatica ad arrabbiarsi? Piuttosto chiedono scusa, o finiscono con l’accusare se stesse. E dietro alla rabbia dei bambini piccoli, quando a due anni dicono di no a tutto? E poi ancora nell’adolescenza, quando risponderanno male ai genitori, adorati fino all’anno prima. C’è poi la rabbia delle mamme verso i figli piccoli, rabbia negata e sofferta. E quella degli odiatori, che purtroppo proliferano in questo periodo storico. Rabbie sane e rabbie patologiche, da distinguere per cercare dagli antidoti. Per prevenire, con la condivisione e la prosocialità, con cambiamenti personali e culturali.
Possiamo apprendere come non essere impulsivi, come ascoltare la nostra rabbia e quella altrui, anziché reagire o dar vita a un’escalation.
Le sue motivazioni sono sempre legittime, anche se spesso le modalità con cui si manifesta sono inaccettabili. La sfida è trasformare la nostra rabbia in energia creativa e gestire la rabbia degli altri affinché non ci contamini, ma sentendosi accolta si disperda, consentendo una connessione. Secondo Marianne Williamson, psicologa americana, un miracolo avviene ogni volta che si riesce a sostituire la paura con l’amore.
L’ha ripubblicato su Scelti per voie ha commentato:
Soffocare la rabbia fa male! La rabbia va capita ed elaborata, non soppressa (non è facile, ma neanche impossibile).