Il progresso, nell’accelerazione incredibile degli ultimi anni, ha reso possibile quello che prima era addirittura impensabile.
E se inversamente, ci diventasse impossibile quello che prima era acquisito? Alcune facoltà umane stanno regredendo, in quanto sostituite da protesi tecnologiche più veloci, più certe, più facili.
Secondo la legge dell’allenamento, il disuso crea il rischio di atrofia, sia individualmente sia filogeneticamente: se non mi alleno, perdo gradualmente capacità cardiaca, muscolare, ecc. Analogamente, le potenzialità mentali sottoutilizzate tenderanno a sparire.
C’è chi ha sviluppato delle capacità telepatiche che destano stupore, e incredulità, almeno quanto l’ultimo modello di cellulare. Parliamo di popolazioni quasi estinte, e minacciate, come i lama tibetani, gli aborigeni australiani. Altri, con la meditazione, o con l’ipnosi, riescono ad ottenere fenomeni di anestesia, pari a quelli raggiungibili assumendo sofisticate sostanze chimiche.Tutte le menti sono dotate di queste potenzialità, che però richiedono molta pratica e disciplina per essere sviluppate ed affinate.
E allora la tentazione della tecnologia, acquistata e non conquistata, è forte. Propone delle scorciatoie: sono comode, rapide, anche se hanno effetti collaterali.
Un esempio eclatante: lo tsunami. Alcuni gruppi indigeni, e gli animali, si sono salvati, utilizzando l’istinto, o l’osservazione dei segnali della natura. Per contro, la massa è stata travolta, nonostante gli strumenti avessero previsto. Senza di essi, non si sa più ascoltare, sentire.
L’assunzione di un analgesico artificiale diminuisce la produzione di quello naturale (le endorfine): è un adattamento faustiano, sosteneva lo psichiatra e antropologo Gregory Bateson, quello per cui “si ottiene in dono il potere magico di modificare la propria vita, ma in cambio si finisce arrostiti all’inferno. Il controllo tramite scorciatoie è sempre fonte di guai…prima o poi ci si ritrova in trappola”. Spesso le conquiste del progresso, farmacologiche o tecniche, soddisfano un bisogno creandone un altro. Non c’è mai sazietà, come avviene invece nei sistemi naturali, bensì un’accelerazione ed amplificazione della richiesta: la dipendenza. Anziché comprendere e rispettare l’ecologia della mente, cadiamo nella hybris, nell’arroganza del dominio unilaterale sull’ambiente.
Sembra un discorso antiprogressista: in realtà nessuno vuol rinunciare ad ascensore e lavapiatti. Che alla fine ci migliorano la vita, e fanno risparmiare tempo e fatica.
Tiziano Terzani, nei suoi ultimi libri, esplora la difficoltà di integrare il progresso tecnologico occidentale e i valori umani rappresentati dalla cultura orientale, nell’impossibilità attuale di escludere l’uno a scapito dell’altra senza pagarne un prezzo elevato.
Ma se ogni rifiuto è anacronistico (pensiamo agli Amish, o alla comunità degli Elfi sull’appennino pistoiese, che hanno scelto di vivere come cento anni fa), l’accettazione non deve essere supina e apriori.
L’autocontrollo è la capacità fondamentale per salvare la nostra identità: ci resta la possibilità di scegliere se e quando farci aiutare; come usare la tecnica per non farsi usare da essa. Anche perché spesso la tecnologia non è al servizio del progresso ma del profitto; quindi non ci libera, ci schiavizza.
Non è facile. Basti pensare all’irrinunciabile automobile, così comoda e veloce: quanto perdiamo però in termini di ambiente, di salute, di ricatto economico subito? Ed è difficile “usarla poco”.
Inoltre, come nota il filosofo Umberto Galimberti, il mondo della tecnica, fatto di regole, di obiettivi di funzionamento, ci porta ad assumere gli stessi principi a livello psicologico, e a concentrare la comunicazione, di cui si parla tanto, tutta all’esterno. Rischiamo di rinunciare allo spazio per la riflessione interna, e alle dinamiche autentiche dei rapporti umani, che sono fatte di istinti, e di significato.
Alcuni esempi
Integrare tecnologia e potere mentale è arduo: non sempre si potenziano a vicenda, talvolta l’una soppianta l’altro, subdolamente. Non dovrebbero diventare incompatibili, è questa la sfida che ci si pone.
E’ però innegabile che il navigatore satellitare in auto o da polso, comodissimo, non aiuta a sviluppare il senso dell’orientamento e la capacità di leggere le cartine stradali, anzi alla lunga li si disimpara. La calcolatrice velocizza il calcolo e minimizza gli errori, ma la mente non apprende a fare operazioni senza, perché non è costretta a farlo. Vi è mai capitato di chiamare un amico sul cellulare perché non lo trovate all’appuntamento e di scoprire poi che ce l’avete di fronte? Come se i sensi che, in era pre-cellulari, facevano sì che ci si incontrasse pur senza precise coordinate, si fossero intorpiditi, impigriti.
E le mnemotecniche, che risalgono a Cicerone, chi le utilizza più? La memoria (non elettronica) è una facoltà in via di estinzione.
Anche la creatività è inversamente proporzionale alla quantità e alla complessità di strumenti disponibili. Il gioco troppo tecnologico non fa giocare il bambino, lo inghiotte e lo rende dipendente.
Ci sono degli studi recenti sulle nuove patologie legate al mezzo, ma anche su modi innovativi di utilizzare la tecnologia per potenziare la mente: si veda il sito www.siptech.it, della Società Italiana di Psicotecnologie e Clinica dei Nuovi Media.
Il progresso tecnologico incide diversamente a seconda dell’età anagrafica dei suoi fruitori.
Per i più anziani è naturale che si verifichi il fenomeno della resistenza al cambiamento, per cui viene rifiutata istintivamente anche l’innovazione più evidentemente vantaggiosa, vissuta come minacciosa, difficile, svalorizzante.
Per chi è cresciuto a cavallo fra l’epoca umanistica e l’avvento delle nuove tecnologie, c’è chi si fa conquistare e chi cerca di non contaminarsi, ma poi cede, almeno in parte, per non restare tagliato fuori. Un ponte fra dimensioni diverse, potrebbe essere il difficile ma importante ruolo di chi è cresciuto nell’età di mezzo. Per comunicare con i giovani, che non immaginano com’era prima.
Colpisce la facilità sorprendente dei bambini e dei ragazzi, che apprendono e utilizzano le nuove tecnologie con una disinvoltura invidiabile, ma rischiano di restare intrappolati nell’impotenza se ne diventano dipendenti e se arrivano a ritenerle indispensabili.
I bambini sono spesso dipendenti dalla playstation, dal gameboy, dalla tv: solo quando non ci sono riescono a farne a meno, e ricordarsi come si gioca felicemente senza. Ma se c’è la disponibilità del mezzo, di solito se ne fanno ipnotizzare.
Sono rimasta colpita, in un’escursione, dal vedere i ragazzini con cui eravamo faticosamente saliti in vetta, affaccendati a cercare i telefonini, per videochiamare la fidanzata e mostrarle i caprioli, anziché gioirne qui ed ora, come facevamo noi…
Come difenderci?
Occorre ribellarsi al ruolo di consumatori passivi. Restiamo persone intere libere, capaci di decidere dei periodi di pausa, magari, in cui tornare a se’ e alla natura, dove ce n’è ancora, spegnendo tutto ciò che abbiamo di elettronico, e abolendo ogni supporto chimico; oppure di circoscrivere dei campi di vita libera e wild, ed altri in cui affinare l’utilizzo della tecnologia al servizio delle nostre idee. O ancora, praticare una disciplina come la meditazione, o lo yoga, che ci ricordi come è all’interno che vanno cercate le risposte più importanti.
Sono tecniche di autodifesa che mirano a conservare autonomia e istintualità, ma non sono scontate, soprattutto per i più giovani. L’autocontrollo, e la sua necessità, va insegnato loro, è forse uno dei compiti della generazione precedente. Bisogna consegnare ai ragazzi il patrimonio tecnologico, ma anche la consapevolezza che si tratta di mezzi, di alleati potenziali, non di fini. Indicare loro come gestire degli strumenti che in sé non sono né cattivi né buoni, ma che, con la loro invadenza (la pubblicità che ne fa un must, ecc.), rischiano di diventare degli ostacoli allo sviluppo della creatività e della libertà.
Il problema è che siamo utenti passivi del progresso; pochissimi ne sono attivi artefici, capaci di progettare o almeno di adattarlo alla nostra realtà. I più usano la tecnologia senza capire nemmeno come funziona.
Perfino chi ci lavora, sfrutta solo molto parzialmente le potenzialità delle nuove strumentazioni esistenti: sono troppo complesse, e sono continuamente superate, per cui restare al passo è impegnativo. Non padroneggiare perfettamente i mezzi tecnici che ci circondano, e d’altro canto la disabitudine a riferirsi alle proprie capacità mentali, demolisce il senso di autonomia e l’autostima.
L’allenamento è allora importante, la nostra mente può evolvere quanto la tecnologia, ma con una costante manutenzione, e molta cura per correggere gli errori di utilizzo.