Il ritorno al lavoro unito all’avvicinarsi dell’inverno è vissuto come una fine: della libertà dell’estate, dei ritmi più naturali, del contatto con la natura, soprattutto della sensazione magica che tutto possa succedere.
È come un rientro nella realtà.
Ricomincia tutto: la scuola, il lavoro, lo stress, persino il raffreddore. Se l’inverno precedente è stato duro, i prodromi autunnali non faranno che ricordarci la fatica già vissuta; irrazionalmente si è convinti che si finirà col rivivere lo stesso clima emotivo e forse anche gli stessi eventi.
È l’effetto della ciclicità delle stagioni: per alcuni la continuità, il ritrovare luci e ambienti già vissuti negli anni, è rassicurante; per altri, questo senso di eterno ritorno può sembrare un incubo.
Ma fuggire non si può, e forse è meglio cercare omeopaticamente di sintonizzarsi sui toni autunnali piuttosto che cercare di trattenere i colori estivi, con lampade o viaggi dove fa ancora caldo.
La caduta delle foglie invita a liberarsi di atteggiamenti, pensieri e occupazioni non più essenziali per noi; riscegliere tutto, del nostro quotidiano, anche le stesse cose, ma senza subirle. Lasciando spazio alla natura che è ancora bella, alla riflessione, a se stessi.
Il cambio di stagione degli armadi, fatica inevitabile, ha sempre valenze simboliche: si ritrovano abiti e identità, si desidera cambiare, buttare, comprarne di nuovi.
Si fanno propositi, più che a Capodanno. Le iscrizioni a palestre e a corsi vari in questa stagione hanno un’impennata.
La sensazione di rientrare in una forma troppo definita è opprimente: come se ci fosse un calco che però non ci assomiglia più.
È importante immaginarsi un futuro inedito, al di là dei binari ritrovati, e tenerlo in mente con piccole differenze di atteggiamento o comportamento da inserire nelle azioni di sempre. Conservare ciò che si sente essenziale, liberarsi di ciò che non lo è, per lasciare spazi di apertura al nuovo.